Poche ore fa ho postato la raccolta di immagini satiriche che invitano a boicottare la Barilla a causa delle dichiarazioni viziate da omofobia del suo Amministratore Delegato.
Molti amici mi hanno detto e scritto una frase che banalizzo in “Ma alla fine uno può dire quello che vuole”, frase che hanno pronunciato persone gayfriendly e non, per esternare la libertà di pensiero di tutti, e che (tralaltro) in Italia abbiamo ben più gravi problemi delle dichiarazioni pubbliche di un magnate dell’industria alimentare.
Vorrei provare ad analizzare la questione escludendo l’ambito etico/sociale, premettendo comunque che sono di idee totalmente opposte al signor Barilla.
La frase in analisi è la seguente: “Non faremo pubblicità con omosessuali, perché a noi piace la famiglia tradizionale. Se i gay non sono d’accordo, possono sempre mangiare la pasta di un’altra marca. Tutti sono liberi di fare ciò che vogliono purché non infastidiscano gli altri“.
Come già detto ognuno è libero di pensare ciò che vuole, eticamente Guido ha le sue idee, ma ora prendiamo la sua esternazione dal punto di vista commerciale: lui invita le persone che non gradiscono la sua scelta di marketing (e a questo punto di pensiero) a non utilizzare il suo prodotto.
Ora nell’argomento in questione bisogna tener conto di alcune cose:
La pasta è un prodotto di largo consumo (specialmente in Italia) ed ha dei prezzi molto bassi stiamo parlando di cifre attorno ad 1 euro al chilo e quindi l’azienda trae il guadagno sostanziale dalla vendita di più prodotti possibile.
Si stima che la popolazione di persone con orientamento omosessuale, al mondo sia attorno al 6% , mettiamo che sia al 6% anche qui in Italia.
Per sillogismo aristotelico, Guido ha invitato il 6% dei suoi consumatori a non acquistare il suo prodotto “pasta”.
Ora mettiamo che non tutto questo 6% sia un consumatore del prodotto “pasta”, la percentuale scenderebbe, ma attualmente in rete il boicottaggio della Barilla viene promosso anche a persone che non fanno parte di questa percentuale, e se consideriamo che tale boicottaggio viene esteso a tutti i marchi del prodotto Barilla, per assurdo possiamo affermare che il 6% (percentuale comunque in difetto), a seguito dell’invito del signor Guido, boicotti i prodotti del Gruppo Barilla.
Dal sito della Barilla apprendo che il bilancio del gruppo nel 2012 era pari a 3916 milioni di euro, di cui il 40% in Italia cioè la fetta di suoi consumatori “discriminata” è pari al 2,4% del suo fatturato mondiale, che in cifre è 93,98 milioni di euro.
Mettendo che il boicottaggio funzioni per un anno, nella sola Italia il signor Guido si è bruciato il suo 2,4% di fatturato.
Se estendiamo il valore della sua dichiarazione a tutto il suo mercato, dovremmo dire che si è bruciato il 6% del suo fatturato pari a 234,95 milioni di euro, ma mettendo che il “boicottaggio” non venga mantenuto da tutti per così tanto tempo si può affermare (questa volta per eccesso) che l’astinenza di acquisto dal gruppo Barilla sia pari alla sola percentuale ipotetica di astensione all’acquisto del mercato italiano.
Quindi il Gruppo Barilla ha subito su scala mondiale un calo economico pari al 2,4% del suo fatturato, pari a 93,98 milioni di euro.
Ora amici miei vi chiedete perché io dovrei storcere il naso per una situazione del genere. Escludendo il danno che potrebbe ricadere sull’indotto Barilla (personale ecc), quale imprenditore metterebbe a rischio 90 milioni di euro di fatturato per una sua dichiarazione, considerando che non sta neanche giocando in borsa?
Sicuramente non uno furbo.
Il signor Guido ovviamente non è una persona che è campata solo di rendita, del suo in questi anni ve ne ha messo eccome, ma per una azienda che punta molto sul marketing e la comunicazione le parole sono tutto o quasi.
Il signor Guido, a parer mio, è figlio di una classe dirigente stabilizzatasi sul terreno florido creato dalla fatica e dal genio dei suoi predecessori, che quasi ha dimenticato il perché e il percome è giunta a quel livello. Una classe dirigente che non investe più per rinnovare, ma investe solo perchè gli altri lo fanno, una classe dirigente che se sbaglia nel suo campo viene riutilizzata in un altro, solo per non farla uscire da quella nicchia elitaria di persone.
Il collegamento che sto per fare è forzato, lo ammetto io stesso, ma questa è quella classe dirigente che rischia perchè sa che non ci rimetterà lei in prima persona e che porta al crack delle loro aziende salvaguardando loro stessi magari con cambi di intestazioni di proprietà o spostando fondi all’estero (tutti ricordiamo il Buon Callisto Tanzi e il caso Parmalat o la la vendita e/o privatizzazione di aziende statali che con le variazioni di manager e politiche aziendali sono finite in rovina per poi essere svendute, Alitalia e Telecom sono esempi ancora più vicini).
Quello che mi fa rabbia è che per la malgestione di alcune persone a rimetterci siamo in molti, ovviamente sto parlando in generale e il signor Guido è stato preso solo ad esempio. Spero solo che negli stabilimenti Barilla nessuno vada in cassa integrazione per un calo nelle vendite dovuto proprio alle sue parole.
Per il resto se chi ci amministra vuole che noi si faccia sacrifici e ci si dia da fare, che almeno si svegli e ritorni a pensare come una volta, poichè se il benessere non lo si estende a tutti, piano piano viene meno anche il proprio.
il calcolo può essere corretto ma non è completo a parer mio. tu hai fatto un calcolo differenziale tra la dichiarazione di barilla o la possibilità che non l’avesse mai fatta. invece a parer mio bisogna fare il calcolo differenziale su l’affermazione di barilla e una eventuale pubblicità con una famiglia gay. il mio pensiero (e forse anche quello di barilla) è che se avesse fatto una pubblicità coi gay avrebbe perso più fatturato di quanto non ne perderà con questa affermazione.
Il tuo ragionamento è corretto, ma ho analizzato la frase che lui ha detto: il calcolo (per assurdo) è basato sul fatto che se non avesse quella dichiarazione la situazione non avrebbe avuto il rischio di mutare (in peggio).
Il mio calcolo evidenzia un rischio di allontanamento di una percentuale, seppur minoritaria, di clientela.
Quello che voglio analizzare non è il discrimine sociale, ma la mentalità imprenditoriale, che sta dilagando in Italia, in cui non si innova ne migliora perchè tanto il consumatore ritorna.
Un distacco dal mondo economico/competitivo dei manager aziendali tale che anzichè consolidare o aumentare la propria clientela sono pronti a cederne una parte per non “impegnarsi” (investendo) per mantenerla.